Il lamento notturno che risuona nei vicoli di Sessa Aurunca, tra devozione, storia e musica millenaria.
Il Miserere dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di Sessa Aurunca. È notte, fa freddo, le strade di Sessa sono deserte e silenziose, la gente dorme …all’improvviso un lamento straziante squarcia il silenzio levandosi con impeto da un angolo … “Miserere mei deus … secundum magnam … misericordiam tuam…”. Chi vive a Sessa Aurunca lo sa … nelle notti quaresimali il canto del Miserere risuonanei vicoli del centro storico, come il battito di un cuore (quello “Suessano”) che aumenta di ritmo di venerdì in venerdì, mentre la Pasqua si avvicina. È impossibile non essere rapiti da questo arcaico suono, che traduce in canto uno dei salmi più antichi e toccanti, nello straordinario contesto del centro storico di Sessa Aurunca. Un borgo dove il tempo sembra davvero essersi fermato…E subito nella mente di chi lo ascolta sorgono una serie di domande: da dove proviene questo canto? Chi lo ha creato? Cosa stanno dicendo? Partiamo con il dire che i cantori stanno recitando una delle preghiere più conosciute e famose del Cristianesimo. Il testo consiste in un salmo (Salmo 50 o 51 secondo i diversi modi di catalogazione) che, secondo la tradizione, è stato scritto dal re David come pentimento per una colpa di natura erotica commessa con Betsabea, la moglie di un ufficiale del suo esercito. Nello specifico “suessano” la modalità di esecuzione del canto, eseguito a tre voci pari ma di tono diverso, appartiene all’Arciconfraternita del SS. Crocifisso nel cui ambito si è sviluppato nel corso dei secoli e nei cui rituali quaresimali (venerdì di marzo e processione del Venerdì Santo) viene da tempo immemorabile eseguito. Non si conosce l’autore del canto ma secondo le teorie pubblicate il canto fu introdotto nei rituali della Confraternita in ossequio alle indicazioni ricevute all’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di Roma (che ha sede nella chiesa di San Marcello al corso) alla quale l’omologa Confraternita suessana risulta aggregata con bolla del 31/01/1578. La Confraternita “romana”, proprietaria del Crocifisso dinanzi al quale Papa Francesco pregò per la fine della pandemia il 28/03/2020 (ricordate piazza San Pietro completamente vuota?) aveva, infatti, per mandato pontificio, il compito di guidare ed indirizzare il culto di tutte le Confraternite del SS. Crocifisso esistenti nel mondo. L’esecuzione del canto in una prima fase storica veniva affidato a cori di voci bianche; quando non fu più possibile incaricare questi cori i confratelli li sostituirono ed il canto iniziò a svilupparsi in modo del tutto peculiare poiché tramandato oralmente nel corso dei secoli da generazioni di confratelli fino ad arrivare ai tempi nostri. Nel novecento famoso è stato il trio composto dai cantori Eugenio Polito (prima voce), Renato Cecere (seconda voce) e Pasquale Ago (terza voce), esecutori del canto dal 1935 al 1967, ed il trio composto da Antonio Aurola (prima voce), Vincenzo Ago (seconda voce) ed Emilio Galletta (terza voce), cantori dal 1967 al 2018. Oggi nella Confraternita sono attivi molti trii, alcuni composti da giovanissimi confratelli, che garantiranno la prosecuzione del canto anche nel futuro. Il canto è stato oggetto di studio da parte di famosi musicisti (tra i tanti Roberto De Simone, Peppe Barra, Ambrogio Sparagna) etnomusicologi ed antropologi e tutti hanno concordato sull’unicità del canto e sulla necessità di tutelarlo. Tanto è che dal 2018 l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso ha avviato la procedura per il riconoscimento del canto quale patrimonio immateriale dell’umanità, procedura che ha finora condotto al riconoscimento del canto e della processione del Venerdì Santo quale patrimonio immateriale della regione Campania e poi della Nazione Italiana da parte del Mibact (vedi immagini nel video allegato). Tutto ciò fa ben sperare per il futuro di un canto che da secoli incanta generazioni e generazioni di fedeli invogliandoli alla penitenza ed alla preghiera in un periodo forte del calendario liturgico.