I Ministeri ordinano, ma a Caserta non si convoca: De Rosa temporeggia, mentre il tempo (e le scadenze) scivolano via. E il conto potrebbe arrivare salato.
A nulla, o quasi, è servita la diffida inviata dai Ministeri dell’Interno e della Pubblica Amministrazione al vicepresidente della Provincia di Caserta, Marcello De Rosa. Gli era stato chiesto, con tono inequivocabile, di convocare “senza indugio” le elezioni per il rinnovo della presidenza dell’Ente di corso Trieste. Un’espressione che in italiano corrente dovrebbe significare “immediatamente”, non “appena finisco un paio di cose”. Ma l’urgenza romana, evidentemente, non ha fatto breccia nel ritmo casertano. Le elezioni, che secondo la Legge Delrio andavano indette entro 90 giorni dalle dimissioni del presidente, e siccome ciò non è avvenuto, rimanevano quelli forzati, 30 giorni per la presentazione delle liste e 20 per la campagna elettorale. Eppure, tutto tace. Non solo. Invece di agire secondo la prassi ordinaria e limitarsi all’ordinaria amministrazione, De Rosa pare aver optato per una linea… tutta sua. Negli ultimi giorni si sono registrate nomine e deleghe “straordinarie e il rinnovi di CdA. Atti che rischiano di essere impugnati dal prossimo presidente eletto, ammesso che prima o poi si voti. E qui entra in scena un altro protagonista: la segretaria generale dell’Ente, la dott.ssa Elena Inserra, che in qualità di garante dell’ente dovrebbe espletare la procedura elettorale. Anche su questo fronte, però, regna la calma piatta. Nessuna convocazione. Nessuna data. Nessun avviso all’albo pretorio. E intanto c’è anche chi solleva il dubbio che si possa profilare un danno erariale: perché, da quando è vice presidente con funzioni “rafforzate”, De Rosa percepisce un emolumento superiore, in quanto non sindaco (e quindi senza stipendio comunale a compensare). La legge prevede che il presidente della Provincia prenda la differenza tra lo stipendio da sindaco e quello da presidente. Ma se non si è né l’uno né l’altro, il conguaglio rischia di pesare sulle casse pubbliche. Insomma, tra “indugi” e “meline”, la democrazia amministrativa casertana sembra ferma ai box.
