Dura condanna per lo Stato italiano per la sua “incapacità di agire” di fronte allo scarico di rifiuti tossici nella terra dei fuochi, dove la vita di circa 2.9 milioni di cittadini è a rischio.
La Corte di Strasburgo fa riferimento a una serie di rapporti in cui si parla di “disastro ambientale paragonabile solo alla diffusione della peste nel XVII secolo”, e in cui la Campania viene descritta come “la pattumiera d’Italia”, divenuta “un ricettacolo di rifiuti di ogni genere”.
Sempre secondo la Corte, le istituzioni italiane, pur riconoscendo il problema, non avrebbero messo in campo le misure necessarie per proteggere i cittadini dai danni prodotti dai rifiuti interrati illegalmente tra le provincie di Napoli e Caserta.
La questione è stata portata davanti alla Corte su iniziativa di 41 cittadini residenti tra le province di Caserta e Napoli e cinque organizzazioni con sede in Campania. I ricorrenti sostengono che, pur essendo a conoscenza del decennale scarico, interramento e incenerimento da parte di associazioni criminali, le autorità non abbiano adottato alcuna misura per proteggerli, né hanno fornito loro alcuna informazione al riguardo.
Nelle conclusioni la Corte afferma che “il Governo non ha dimostrato che le autorità italiane hanno affrontato il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza giustificata dalla gravità della situazione” e “che non hanno dimostrato che lo Stato italiano ha fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per proteggere le vite dei ricorrenti”. Vi è stata dunque “una violazione” degli articoli 2 e 8 della Convenzione sulla protezione dei diritti umani e relativi al diritto alla vita
Nella sentenza, definitiva, la Cedu ha stabilito quindi che l’Italia deve introdurre entro due anni misure in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento nel territorio campano, istituire un sistema di monitoraggio indipendente e un meccanismo di comunicazione pubblica.
Citando studi italiani e internazionali, tra cui quelli di The Lancet Oncology, e dell’Organizzazione mondiale della sanità, la Corte sottolinea come i dati sanitari nell’area siano risultati fuori norma e come già le diverse Commissioni bicamerali d’inchiesta che si sono succedute abbiano evidenziato una capacità di deterrenza “praticamente inesistente” da parte dello Stato, la mancanza della “necessaria fermezza” nella risposta e la difficoltà nell’ottenere condanne per reati ambientali anche, a causa, tra l’altro, dei brevi termini di prescrizione, criticando inoltre i piani di bonifica e i lunghi ritardi nell’intraprendere le azioni di prevenzione necessarie.
