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pestaggi in carcere
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Santa Maria Capua Vetere: pestaggi nel carcere, il racconto choc del sovrintendente Migliaccio sul Caso

1 mese fa
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Nel cuore del maxi-processo che vede imputati 105 tra agenti penitenziari, funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e medici dell’ASL, emergono dettagli sconcertanti sulle violenze avvenute il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Durante quella perquisizione straordinaria, circa 300 agenti si resero protagonisti di brutali pestaggi ai danni di altrettanti detenuti del reparto Nilo. A testimoniare è Domenico Migliaccio, all’epoca sovrintendente della Penitenziaria e responsabile della sala regia del reparto, oggi in servizio a Poggioreale. Migliaccio, inizialmente indagato ma poi prosciolto poiché assente quel giorno per motivi personali, ha raccontato in aula di aver ricevuto pressioni nei giorni successivi all’evento per manomettere il sistema di videosorveglianza. “Era il 10 aprile quando mi fu chiesto telefonicamente da un collega, qualificatosi come ispettore, se fosse possibile alterare le registrazioni delle telecamere“, ha dichiarato il testimone. La richiesta, secondo il suo racconto, prevedeva persino la distruzione fisica dei DVR con un liquido corrosivo, forse candeggina. Migliaccio, tuttavia, si rifiutò categoricamente, minacciando di denunciare chiunque avesse tentato di procedere con tale operazione. La tensione fu tale che Migliaccio abbandonò la sala regia per recarsi in infermeria, dove ottenne un certificato medico per stress. Prima di allontanarsi, riferì la vicenda a una commissaria, anch’essa imputata, che reagì con preoccupazione. “Mi disse di non permettermi mai di fare una cosa del genere, e io le risposi che infatti mi ero rifiutato“, ha aggiunto in aula. Migliaccio ha anche ricordato come, rientrato in servizio, un collega gli raccontò di aver ricevuto l’ordine di spegnere le telecamere prima dell’inizio della perquisizione. Tuttavia, l’agente riuscì solo a disattivare i monitor, senza interrompere la registrazione delle immagini, che diventarono poi prove chiave nell’inchiesta. Nel clima di crescente pressione, molti agenti gli chiesero se le telecamere fossero ancora funzionanti. Migliaccio ha citato anche conversazioni avute fuori servizio con colleghi di altri istituti penitenziari, come quello di Secondigliano. “Non avevo mai visto nulla di simile. Fino al 6 aprile si lavorava con serenità, ma dopo quell’evento la gestione dei detenuti cambiò radicalmente“, ha dichiarato, descrivendo un ambiente diventato più oppressivo e violento, con frequenti perquisizioni e atteggiamenti aggressivi da parte di alcuni agenti. Quando il legale degli imputati, Carlo De Stavola, gli ha chiesto se avesse mai denunciato tali comportamenti, Migliaccio ha ammesso di non averlo fatto. “Allora ha omesso di denunciare“, ha concluso l’avvocato. Il sovrintendente ha anche raccontato di aver parlato con due detenuti dopo i pestaggi. Uno di loro riferì di essere stato colpito con una manganellata ai testicoli da un’agente donna. Inoltre, Migliaccio ha ricordato Hakimi Lamine, un detenuto morto un mese dopo gli eventi del 6 aprile. “Lamine era spesso coinvolto in liti e incendiava le celle. Dovevamo intervenire di frequente, e la sua salute era peggiorata visibilmente“. La testimonianza di Migliaccio getta nuova luce su una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica, evidenziando non solo la violenza fisica subita dai detenuti, ma anche i tentativi di occultamento e l’omertà diffusa tra chi avrebbe dovuto garantire la legalità all’interno delle mura carcerarie.


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